Forte: «Uno spot inutile, Riva parli con i fatti» E poi la denuncia: «Rispetti i vecchi accordi»

18 -04-2012

BARI — Inutile girarci attorno, alla Cgil lo spot dell'Ilva non è piaciuto. Convincono poco quei trenta secondi con le immagini strette su una tuta da operaio (ma si parla di un ingegnere ambientale) e la voce fuori campo che dice: Grazie al suo lavoro Taranto e l'Ilva avranno un futuro sostenibile.

Segretario Gianni Forte, lei l'ha visto. Che impressione fa al sindacalista e al tarantino?

«Lo spot, come si intuisce, non è commerciale. Risponde piuttosto all'esigenza di fornire un riscontro all'allarme sul rischio ambientale e intende rimarcare per altri versi la centralità dell'Ilva nel sistema economico della città e della Regione».

Arrivi al punto, per favore.

«Mi sembra un'operazione del tutto inutile e si presta anche all'interpretazione opposta a quella che Ilva vorrebbe fornire. Il modo migliore per rassicurare i tarantini sulla tenuta dell'ambiente è accettare il tema della compatibilizzazione tra fabbrica e città. Il resto serve a poco».

Il resto cosa sarebbe?

«Gli spot, i cortei più o meno suggeriti, o le lettere degli operai che arrivano anche a noi. E ci ricordano quello che sappiamo: senza la fabbrica ci sarebbe la disoccupazione. Sono tutte manifestazioni segnate dal sospetto della strumentalizzazione. Invece, il tema del rapporto tra ambiente e fabbrica va affrontato in modo sereno».

Detto in altri termini?

«Ilva deve dimostrare di aver fatto gli investimenti e di voler continuare a farlo. L'azienda deve accettare, non dico che lo debba fare supinamente, ma deve accogliere l'idea di affrontare la questione senza indugio. Non saremmo a questo punto, se l'Ilva avesse dato corso a quanto previsto negli atti di intesa dei primi anni Duemila».

A cosa si riferisce di preciso?

«Agli accordi tra istituzioni, azienda e sindacati sulla copertura dei parchi minerari. Si voleva affidarne lo studio al Cnr e all'università: l'Ilva lo ha sempre ritenuto insostenibile, considerata la vastità dell'area interessata. È stato un errore, quella era una scommessa che andava fatta. Detto ciò, non aiuta neppure l'idea della chiusura della fabbrica, evenienza che ugualmente provocherebbe danni: di tipo sociale per i tanti che perderebbero il lavoro, e di tipo ambientale in quanto sarebbe devastante uno stabilimento lasciato in balìa di se stesso».

Il ridimensionamento della produzione non è proponibile?

«È il mercato che regola la produzione. Certo, i problemi maggiori sono arrivati quando si è raggiunto il picco, con i 10 milioni di tonnellate l'anno, di gran lunga superiore ai 6-7 della gestione pubblica. Tuttavia, occorre vedere se e come una eventuale riduzione sia compatibile con la tenuta economica dell'azienda. Ecco perché più che spot, occorre disponibilità al confronto».

Peppino Caldarola vede nello spot una rivalutazione del lavoro operaio. Dice che eravamo abituati a considerare chiusa la vicenda della classe operaia.

«Per noi il lavoro operaio non ha mai perso valore, dal manifatturiero alla grande industria. Piuttosto, preferirei che la rivalutazione avvenisse sul piano della salvaguardia dei diritti, delle prerogative, della considerazione sociale. E non per fini che odorano di strumentalizzazione. Per quanto, lo ammetto, le relazioni sindacali in Ilva sono di gran lunga migliorate».

Dopo i tempi della palazzina Laf, dov'erano confinati i lavoratori riottosi.

«Ecco, appunto. Dopo una fase complicata, le relazioni sono oggi più distese. Ma va detto anche che i lavoratori, gli operai di cui parliamo, hanno subito pesanti processi di precarietà: sono tutti entrati in azienda attraverso percorsi di formazione/lavoro. Hanno fatto e fanno sacrifici, non ultimo quello delle condizioni ambientali in cui lavorano. Per parlare di riconsiderazione, vorrei che si partisse da qui».

Sempre Caldarola vede la ripresa di un protagonismo operaio a partire dal corteo dei settemila, a favore del Siderurgico.

«Io preferisco il protagonismo prodotto dal sindacato».

Vede la mano dell'azienda in quella manifestazione?

«Bisogna sempre avere rispetto dei lavoratori che manifestano. Certo, mi piacerebbe che i lavoratori tornassero ad avere l'egemonia e la voce che avevano in città negli anni Settanta. Se recuperassero protagonismo sarebbe utile per Taranto, tanto più se consideriamo la deriva cui la città è stata abbandonata negli ultimi decenni».

Ma è vero che la politica «non si cura più degli operai», come dice Caldarola?

«Il lavoro è cambiato, non è più un monolite. Basterebbe guardare tutta l'area dei parasubordinati, delle partite Iva, del lavoro discontinuo: la rappresentanza della politica, in queste condizioni, diventa un'operazione complicata. Io, per dire, definisco l'Ilva una cittadella assediata: chi sta fuori vorrebbe entrare e chi sta dentro vorrebbe uscirne. Detto questo, annoto che vi era un rapporto stretto tra la fabbrica e la politica. Chi veniva a Taranto, partiva sempre dalla visita alle portinerie del Siderurgico».

E ora?

«La partecipazione dei lavoratori è terminata a metà anni Novanta con la fine delle Partecipazioni statali, i massicci pensionamenti, i nuovi ingressi con la formazione-lavoro: un ricambio senza contaminazione tra la generazione uscente e quella entrante. Eppure della partecipazione dei lavoratori, Taranto avrebbe un enorme bisogno».

Francesco Strippoli


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