MENO SCAMBIO PIU’ DIRITTI E LA POLITICA SI RIPRENDA IL SUO POSTO

29 -03-2012

Di certo urge una svolta, una netta inversione di rotta indispensabile per rendere salutare quel travaglio che la politica in Puglia, come nel resto del Paese, sta attraversando. La politica deve riappropriarsi del suo ruolo, facendo ammenda degli errori del passato e superando le degenerazioni che hanno origine e paternità ben definite. Non possono infatti essere sottaciuti gli effetti distorsivi prodotti  dall'uomo più ricco del Paese che, nel corso di un ventennio, ha governato anteponendo gli interessi personali al bene comune, all'insegna di uno smodato populismo e rimanendo a capo di un partito che partito non e' mai stato.

Dall'altro verso, il centrosinistra, mentre faceva dell’antiberlusconismo il suo cavallo di battaglia, si lasciava contagiare dalla stessa concezione della politica che stava combattendo, adottando gli stessi strumenti e liberandosi frettolosamente dei valori e dell’etica  che gli erano congeniali. E cosi un leader carismatico veniva considerato più utile ed efficace di un partito organizzato e più produttivo sul piano della conquista del consenso. Così come, la candidatura di un imprenditore è stata ritenuta spesso utile a qualificare la lista, una sorta di marchio di cui fregiarsi. Ma fondamentalmente è servita a garantirsi il consenso dell'intero sistema che un'impresa riesce a catalizzare, compreso i lavoratori. Mentre una volta si candidavano gli operai per mettere il sigillo ad una lista di un partito di sinistra, si è finito per privilegiare l'imprenditore. Di conseguenza, in un contesto che ha visto assegnare al capo del Governo nazionale la possibilità di salvaguardare gli interessi personali, un imprenditore qualsiasi si e' sentito incoraggiato a fare lo stesso. Ma non bastava più il condizionamento esterno, occorreva scendere in campo e magari, per non lasciare nulla di intentato, collocando membri della stessa famiglia in liste di destra, di centro e di sinistra. Già questo sarebbe stato sufficiente a far emergere il dubbio che si trattasse di una strategia studiata a tavolino per utilizzare la politica, invece che servirla, come l'etica impone.

Per non parlare degli strumenti e dei modi adottati per costruire il consenso. Tanto denaro per fare che? Sicuramente per produrre manifesti e spot televisivi o per organizzare cene ed incontri, ma in un sistema sociale debole, in cui prevalgono aree di preoccupante povertà, quelle facoltà spesso sono state utilizzate per assecondare la dilagante domanda di bisogni individuali. Chi ha la pancia vuota chiede pane per sé, prima di chiederlo per tutti. E chi è disoccupato, prima di chiedere lavoro per gli altri, lo chiede per sé. Ed è proprio sul bisogno di lavoro che ruota spesso, in maniera cinica e bieca, la costruzione del consenso. Eppure dovrebbe prevalere il merito, la competenza, il talento. Ma nella realtà, chi ha talento è costretto a scappare oppure a vedersi sfilare sotto il naso le poche occasioni, a vantaggio di chi ha un santo in paradiso o un padrone in terra più potente. Non c’è campagna elettorale che non si giochi sulla promessa di posti di lavoro, con tante persone costrette a piegarsi e a sottomettersi. Più il lavoro manca e più difficile diventa l’accesso e se risultano assenti o non funzionano strumenti o strutture pubbliche che favoriscano l’incontro fra domanda e offerta, a prevalere è il meccanismo informale, l’amicizia, la conoscenza, lo scambio, la raccomandazione. Secondo l’ISFOL in Italia il 77% delle assunzioni passa attraverso la segnalazione. Una delle percentuali più alte d’Europa e che nel nostro Mezzogiorno è di molto superiore. Anche per un lavoro di dieci giorni si rende necessaria l’intercessione di qualcuno. Una pratica ingiustificabile, ma che spesso diventa prassi comune, salvo indignarsi quando i casi più eclatanti salgono agli onori della cronaca. Fa specie rilevare che a gridare allo scandalo si propongano coloro che non possono chiamarsi fuori dal sistema e che magari in Parlamento si sono adoperati perché si destrutturasse la legislazione sul lavoro, favorendo il dilagare della precarietà o lo smantellamento dei servizi pubblici per l’impiego. La Corte di Cassazione ritiene che la raccomandazione possa essere assimilata al reato di concussione. Ben venga una legge che vada in tal senso. Ma quel che conta, è che si offra alle persone la possibilità di affrancarsi da ogni sottomissione, ristabilendo i luoghi, la funzione e gli strumenti del diritto, a partire da quello al lavoro.

Il cambiamento passa dall’assunzione di priorità che abbiano questo profilo e non può di certo essere affidato né ai tecnici al Governo, né a leader che usano coniugare in prima persona e che sono pronti ad esautorare il ruolo dei corpi intermedi e della partecipazione. Capita che attraverso la demonizzazione della politica si finisca per allevare mostri pronti a divorare chi li ha partoriti. Abbiamo invece bisogno di politica, casomai con la maiuscola per iniziale. Ma anche di dare nuovo slancio al ruolo dei partiti, da recuperare al ruolo che la Costituzione definisce. Partiti che diventano indifendibili quando scantonano dalla loro funzione, trasformandosi in comitati di affari, ma che è sbagliato credere che se ne possa fare a meno, mettendoli in discussione persino dal punto di vista semantico. Il partito come un “participio passato o anche fuggito, sparito, scomparso”, così sentenziava un nostro autorevole amministratore all’indomani delle elezioni regionali del 2010. Si è pensato di sostituirli con altri soggetti che hanno alimentato aspettative cadute come “d’autunno dagli alberi le foglie”. Da non iscritto a nessun partito, ma con 30 anni di militanza in uno dei più organizzati che la nostra storia abbia conosciuto, ritengo che non ci sia alternativa. La politica senza partiti diventa una prateria aperta ad incursioni devastanti. C’è bisogno di cambiarli, facendo in modo che siano impegnati a favorire la partecipazione e l’elaborazione politica, nonché a selezionare la classe dirigente con meccanismi trasparenti, basati sulla valutazione della storia personale di chi viene proposto al voto degli elettori, della dirittura morale, della coerenza, dell’impegno a riconoscersi in un codice etico da adottare e valido per tutti. Saranno capaci? Il ruolo che deve svolgere la società civile organizzata e le forze rappresentative del mondo del lavoro e dell’economia diventa assolutamente determinante per ridare centralità ai contenuti, alle idee, ai bisogni veri delle persone.

Giovanni Forte

Segretario Generale CGIL Puglia

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