Intervento di Filomena Principale, Segretaria regionale della Cgil Puglia, sulla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Cosa possiamo dire che non sia scontato e banale in una giornata piena di buoni propositi e messaggi che finiscono nel dimenticatoio già 24 ore dopo?
Cosa possiamo dire per spiegare cosa la violenza rappresenta per chi la subisce? Ma soprattutto cosa fa il resto del mondo per impedirla?
Perché intorno alla violenza c’è tutto il resto del mondo.
La violenza subita dalle donne poggia la sua percezione, la sua azione e il suo perpetuarsi sulla disuguaglianza di genere e finché questa caratterizzerà quotidianità, scelte e comportamenti, siamo spacciate. Nulla potranno misure punitive e di contrasto, né una legislazione forte.
Il problema è culturale, a partire da stereotipi all’apparenza inoffensivi, passando attraverso pregiudizi fintamente banali, in quanto frutto di una cultura patriarcale dura a morire, per finire a comportamenti sdoganati nel nome dell’amicizia, della condivisione degli spazi e dei tempi, dell’affetto. Sono comportamenti in uso nelle nostre case, nelle comunità abitate dal nostro impegno, nei luoghi di lavoro, in quelli delle istituzioni pubbliche. Li indossano i mezzi di comunicazione, i manifesti pubblicitari, i libri di testo, perfino i “cultori” di materie come la bioetica, per perpetrare un linguaggio vecchio, sessista, carico di considerazioni di inferiorità nei confronti delle donne.
Tutto questo nonostante gli sforzi e l’impegno richiamato da più parti che evidentemente non bastano.
Nel 2008, il Parlamento Europeo ha approvato la proposta di abolire la pubblicità sessista e degradante per le donne. Sono passati 12 anni e la pubblicità continua a raccontarci che le donne per oltre l’80% vengono narrate come sessualmente molto più disponibili degli uomini, manichini, preorgasmiche, esemplari per quanto riguarda esclusivamente la fisicità. Ancora troppe le campagne pubblicitarie che rappresentano come modello di riferimento maschile l’uomo professionista, l’uomo che si realizza attraverso le sue competenze e la sua determinazione. Eppure da oltre 20 anni le donne italiane si laureano più degli uomini, in meno tempo e anche meglio!
Ho ascoltato giorni fa in radio una pubblicità. Una donna preoccupata avvisa il suo uomo che non c’è più zucchero per il caffe perché caduto sul pavimento dello suo studio. “Non ti arrabbierai vero”, è la domanda supplichevole rivolta a lui. Dopo qualche istante, il silenzio viene interrotto dalla risata maschile che tranquillizza la donna dicendole di chiamare il robot, ovviamente con un nome femminile, per pulire il pavimento. E certo perché la pulizia è esclusivamente donna, tanto che anche il robot lo è.
C’è una sostanziale differenza tra essere “un poco” ed essere “essenzialmente” qualcosa, qualunque cosa. La pubblicità racconta essenzialmente un tipo di donna ed essenzialmente un tipo di uomo, contribuendo a stereotipare il genere femminile, limitandone l’affermazione sociale.
Questo perpetuare gli stereotipi e i pregiudizi autorizza ancora a considerare le donne un oggetto, una proprietà da collocare sul mercato, pensiamo alle tante donne migranti e a quelle che provano a liberarsi di rapporti malati e a denunciare.
La battaglia culturale non ha nulla a che fare con il 25 novembre. Non dovrebbe finire mai ma soprattutto dovrebbe cominciare prima della ricorrenza. Dovrebbe cominciare con una parola ancora poco praticata: l’educazione, con a corollario prevenzione e formazione, nei luoghi di lavoro, nelle istituzioni, nella società. Fondamentale diventa il linguaggio di genere che è corretto solo e soltanto se rispetta le differenze. Media e pubblicità hanno un forte impatto sulla nostra consapevolezza e sui nostri atteggiamenti, idem per l’informazione. Pertanto basta con questo 25 novembre celebrato con parole che poi porterà via il vento. Facciamo qualcosa, ma facciamolo tutti i giorni e soprattutto facciamolo ovunque: a casa, a lavoro, nei momenti di socialità
Filomena Principale, Segretaria Cgil Puglia