Il testo dell'intervista alla segretaria della Cgil Puglia pubblicata su La Gazzetta del Mezzogiorno venerdì 12 luglio
“Il caporalato, lo sfruttamento, la scarsa attenzione alla sicurezza, sono purtroppo fenomeni che non riguardano più e solo l’agricoltura ma anche altri settori. Per superare questa condizione servirebbe innanzitutto un’assunzione di consapevolezza da parte di tutte le componenti istituzionali, politiche e sociali. Non possiamo più parlare di emergenza ma di una condizione strutturale favorita da scelte politiche ingiuste e sbagliate”. Non si rassegna Gigia Bucci, la segretaria generale della Cgil pugliese, a storie come quella di Rajwinder Sidhu Singh, l’operaio agricolo indiano morto a Laterza, che richiama inevitabilmente alla mente la vicenda di Satnam Singh che ha avuto per scenario l’agro pontino. “In attesa che siano chiarite le circostanze, quel che è certo che parliamo di due imprenditori già inquisiti per caporalato. Che continuavano tranquillamente a sfruttare uomini e donne. È evidente che non il problema non si risolve attraverso il ricorso all’insopportabile retorica su inasprimento delle pene e la formazione, occorre in primis che la politica soprattutto di questo governo cambi rotta rispetto a norme e provvedimenti assunti”.
Segretaria, oggi sarete in piazza ad Andria per ricordare un’altra bracciante morta nel 2015 di fatica e sfruttamento, Paola Clemente. Lo slogan dell’iniziativa è ‘mai più’, ma l’attualità ci dice che per ora rimane più un grido di denuncia.
Diciamo le cose come stanno: c’è un pezzo del sistema imprenditoriale e della rappresentanza politica che di rispettare il lavoro, le persone, non ha alcuna voglia e interesse. Negli ultimi 20-30 anni si sono compiute delle scelte politiche mirate, che hanno svalutato il lavoro a favore dei profitti e che oggi ci mettono davanti a nuove povertà emergenti tra cui anche quelle da lavoro. Se il lavoro diventa solo un costo si favorisce la cultura dello sfruttamento, non è un caso che rispetto in alcuni settori sempre la manodopera italiana viene sostituita da quella straniera, perché più ricattabile e meno tutelata dalle leggi. Il punto non è conquistare strumenti per combattere il caporalato, già vi sono come la legge 199 che abbiamo conquistato sull’onda di indignazione pubblica e grazie alle denunce del sindacato a supporto della famiglia di Paola Clemente. Andrebbe pienamente applicata, ma non passa giorno che non si alzi una voce da destra o da parte di alcune rappresentanze datoriali contro questa norma. Addirittura c’è chi parla di militarizzazione del territorio, con sprezzo del ridicolo. La Flai ha stimato che in Puglia al ritmo odierno delle ispezioni, le imprese agricole possono incapparne una volta ogni 33 anni. Laddove non c’è il sindacato, non ci sono denunce dei lavoratori, di fatto un invito a eludere le leggi.
Il Governo alla tragedia del bracciante indiano ha risposto con una attività straordinaria di ispezioni. La Cgil ha parlato di misure spot.
Questo Governo dopo la strage nel cantiere di Firenze ha introdotto la patente a punti, facili da guadagnare e difficili da perdere. In caso di inadempienze gravi va sospesa e basta. E comunque è una misura che si applica solo ai cantieri mobili. Ecco perché parliamo di misure spot, che non incidono. Oggi solo il 3 per cento delle imprese è oggetto di controllo ogni anno, e accade perché il personale è insufficiente. Con il Ministro del Lavoro Orlando abbiamo avuto un piano di assunzioni dopo anni di denunce, ma non basta. Serve investire di più su un’azione coordinata, mettendo in rete le banche dati, prevedendo requisiti di qualificazione delle imprese per l’accesso ai tanti contributi pubblici, ad esempio dimostrare che si è in regola con contratti e versamenti dei contributi, applicando il Durc e la norma sugli indici di congruità approvata in Puglia già un decennio fa. C’è da rilanciare un sistema pubblico di intermediazione del lavoro. Strumenti ne abbiamo se si vuole seriamente contrastare il caporalato.
Anche perché il caporalato non è più solo emergenza meridionale e nemmeno più esclusiva del settore agricolo.
Prima si diceva che era caratteristica quasi antropologica del Mezzogiorno, oppure legata a produzioni cosiddette povere. E invece bisogna fare i conti con un modello culturale del fare impresa che va capovolto, richiamando la responsabilità sociale di cui parla la Costituzione e rafforzando una funzione regolatrice dello Stato che è venuta meno nel tempo. Oggi c’è caporalato nella raccolta del pomodoro così come nelle vigne del Barolo, eccellenza del made in Italy. O ancora nella raccolta delle mele nel Trentino. Ma c’è anche nella logistica, nell’edilizia, non c’è settore privato che è al sicuro se la logica è spremere le persone al limite, aggirare le norme contrattuali, della sicurezza. E se è vero che non risparmia nessun lavoratore e lavoratrice, questa condizione di sfruttamento, proprio agendo sul bisogno delle persone colpisce le figure più fragili come gli immigrati. Serve sempre più anche l’attenzione dei cittadini, affinché si orientino a un consumo etico, che va sostenuto con le certificazioni di filiera, perché prevalga il valore sociale del prodotto e non solo quello economico.
Vedremo mai cancellata la vergogna dei ghetti che caratterizza la Puglia ma non solo?
Vanno assolutamente utilizzate le risorse del Pnrr per cancellarli dalle mappe. Si tratta di luoghi serventi al potere dei caporali. Lo diciamo da anni: senza accoglienza dignitosa, senza intermediazione legale, senza trasporti, il caporale offrirà sempre servizi migliori dello Stato a imprese e soprattutto lavoratori. Ma per quanto riguarda gli stranieri, se non si supera quella mostruosità della Bossi-Fini – che ogni giorno mostra tutte le sue lacune – regaleremo ogni anno migliaia di braccia e corpi allo sfruttamento, perché è un sistema che spinge all’illegalità e non a regolarizzare le persone. E solo in quel caso sono in grado di rivendicare condizioni di salario e di vita più degne, se non restano invisibili. Ai lavoratori noi diciamo denunciate, in ogni caso: c’è la 199 che tutela le vittime di sfruttamento, c’è il lavoro encomiabile di tante Procure e Prefetture nell’azione repressiva, c’è la Cgil. Rivolgetevi alle nostre sedi. Mai più deve essere un impegno collettivo: mai più Paola, mai Più Satnam, mai più Rajwinder, mai più davvero.