Gesmundo: Basta colpevolizzare chi subisce più di tutti precariato e sfruttamento ed è spesso vittima di incidenti su percorsi di stage e tirocinio
“Non possiamo in nessun modo accettare parole che infieriscono sulla dignità di vita e lavoro dei giovani nella nostra regione, anche se provengono da un esponente di spicco della nostra terra come Albano che sotto il profilo culturale tanto ha dato alla Puglia, all’Italia e al mondo”
Ad affermarlo è il Segretario Generale della Cgil Puglia, Pino Gesmundo, dopo le parole dell’artista e produttore di vini pugliese che, sul settimanale Nuovo, ha lamentato carenza di manodopera per la sua azienda incolpando il reddito di cittadinanza e invocando percorsi di apprendistato a 12 anni per i ragazzi nelle imprese.
“Sono parole che fanno male innanzitutto perché non tengono conto della costante umiliazione che ragazzi e ragazze delle nostre terre sono costretti a subire: dati Istat alla mano, abbiamo certificato che sono meno di 150mila gli occupati under 30 in Puglia, mentre il 29% di loro rientra nei cosiddetti Neet, giovani che per disillusione nei confronti del mercato del lavoro non studiano e non lavorano. E i giovani under 35, costituiscono, spesso a causa di lavori mal pagati e senza tutele, il 31% delle persone che nella nostra regione vivono sotto la soglia di povertà, un dato inaccettabile che dovrebbe spingerci tutti ad indignarci al loro fianco anziché impartire lezioni di moralità che non solo colpevolizzano chi ha subito maggiormente l’impoverimento e la precarizzazione del lavoro ma anche vorrebbero condannare sussidi necessari come il reddito di cittadinanza, pari mediamente a 580 euro a famiglia.
E non è un caso se, quando grandi multinazionali organizzano colloqui pubblici per assunzioni in piazza garantendo il rispetto dei contratti, anche se semplici part-time, e condizioni di lavoro chiare, in migliaia si presentano per poter accedere a quelle posizioni ed ottenere un minimo di sicurezza occupazionale”
“Infine - conclude Gesmundo – vorremmo anche dire che a 12 anni non si può stare in un’azienda. A quell’età bisogna essere a scuola, imparando a conoscere il mondo per formare una propria opinione e senso critico che aiuteranno anche ad essere i cittadini e lavoratori del futuro. D'altronde i 4.500 infortuni all’anno in percorsi di stage e alternanza che gli studenti hanno denunciato all’Inail nel 2019 testimoniano che il nostro tessuto produttivo non è in grado di garantire le sufficienti condizioni di sicurezza per lo svolgimento di simili percorsi che in altri paesi prevedono, per le imprese, obblighi formativi, valutativi e di sicurezza. Il tutto all’indomani di un ennesimo incidente a Merano che ha coinvolto un 17enne, ricoverato in gravi condizioni dopo un incidente in un percorso di Pcto, e dopo la morte negli ultimi mesi in percorsi di stage di Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci”.