Ridotta la quota di compartecipazione per le politiche di coesione. "Così si aiuta lo sviluppo del Mezzogiorno?"
“Da un lato si afferma di voler rispettare un principio fissato per legge ma rimasto sulla carta, quello di destinare alle regioni del Sud il 34% degli investimenti pubblici, compreso quello delle aziende partecipate. Dall’altro si taglia la quota di finanziamento a carico dello Stato sui fondi europei per le politiche di coesione. Vorremmo da parte del Governo consequenzialità tra quanto dichiara pubblicamente e gli atti concreti”. È quanto denuncia la Cgil Puglia a proposito dell’orientamento del Dipartimento delle politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel confronto con le Regioni. Se prima la ripartizione prevedeva il 50 per cento a carico dell’Unione e il restante 50 diviso due terzi a carico dello Stato e un terzo delle Regioni, la quota statale nel 2021-2027 scenderà dal 67 al 48 per cento.
“Non si comprende come questa scelta – commenta Pino Gesmundo, segretario generale della Cgil pugliese – possa essere in linea con i principi enunciati anche nel Piano per il Sud, presentato a febbraio 2020 a Gioia Tauro, di ridurre il divario tra territori e cittadini. Disuguaglianze che invece sono aumentate anche durante la pandemia, come testimonia lo Svimez: lo storico gap strutturale ha determinato ricadute economiche e sociali che si sono dispiegate con maggiore drammaticità al Sud, a causa del tessuto produttivo più debole, del mondo del lavoro più frammentato, della società più fragile”.
Scelta ancor più incomprensibile per la Cgil perché “mentre l’Unione europea nel bilancio pluriennale 2021-2027 ha stanziato 41 miliardi e 150 milioni, quasi 7 miliardi in più della programmazione precedente, per le regioni con maggior ritardo di sviluppo – Puglia, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia a cui si sommano Sardegna e Molise, il Governo ridurrà il suo impegno e questo taglio comporterà in automatico un aggravio di spese a carico delle Regioni, mortificandone i già magri bilanci”.
“A questa riduzione di risorse a favore del Mezzogiorno va aggiunta la scelte relativa ai 14 miliardi di euro riveniente da REACT: un fondo creato dall’Unione Europea per assistere in questa fase le regioni meno sviluppate per sostenere la ripresa e la coesione e che il Governo vorrebbe ripartire su tutti il territorio nazionale e non già a favore delle sole regioni meridionali”.
“La Cgil svolgerà la sua azione di vigilanza e di denuncia affinché gli atti del Governo siano in linea con le enunciazioni, che abbiamo difficoltà a intravedere anche nella immaginata distribuzione delle risorse del Recovery fund, dove al Mezzogiorno sono destinati 3,8 dei 209 miliardi di euro assegnati all’Italia. Appena il 2 per cento. Così come nulla c’è sull’infrastrutturazione per migliorare l’asse Nord-Sud e connettere meglio e più velocemente i territori del meridione all’Europa, e il grosso della torta andrà alla linea ferroviaria Milano-Venezia, alla Verona-Brennero, alla Genova-Alpi, alla Tav, ai porti di Genova e Trieste. Zero ai porti del Sud”.
“Non ci sembra possa essere questa la radicale inversione di tendenza rispetto al passato di cui parla il Presidente del Consiglio. È allora più che mai necessario che la Regione, le istituzioni locali, le forze politiche, concordino con le forze sociali un’azione comune per invertire una scelta che rischia di penalizzare ancora una volta il Mezzogiorno. Sapendo che questo è forse l’ultimo treno che passa per la ripresa e la riduzione del divario tra i territori, senza il quale si condannerà non solo il Sud ma tutto il Paese a essere più povero e diviso”.
“È evidente – conclude Gesmundo – come sia necessario un governo unitario delle risorse e una strategia condivisa tra Stato centrale, Regioni e parti sociali per garantire una efficacia e omogeneità degli interventi, in una visione di sviluppo, centralità del lavoro, creazione di nuova occupazione”.