La pensione dei precari

Pubblichiamo una serie di nostri articoli "best of 2012", tra quelli che ci sono piaciuti di più o ci sono sembrati significativi.

Gli interventi sugli ammortizzatori sociali, previsti sempre nel “ddl lavoro”, fatta eccezione per un ridotto intervento positivo sulle indennità di disoccupazione (Aspi) rispetto sia alla durata sia alla quantità della prestazione, lasciano il nostro paese molto lontano dalle migliori esperienze europee. Peraltro, il pesante intervento di riduzione della durata dell’indennità di mobilità mette a rischio tutti quei lavoratori sottoposti spesso in età avanzata a processi di ristrutturazione industriale. L’occasione di rendere il nostro sistema di sostegno al reddito in caso di disoccupazione adeguato alle necessità è andata perduta. Non si può non notare, poi, la contraddizione tra il mantenimento di un mercato del lavoro iperflessibile e l’assenza di un adeguato sistema di protezione sociale. Tornando agli aspetti previdenziali, è evidente come un equo sistema di ammortizzatori permetterebbe una migliore copertura dei periodi di non lavoro (attraverso contribuzione figurativa), che nel sistema contributivo rischiano di provocare veri e propri “buchi previdenziali”.RETRIBUZIONI E PENSIONI, UN LEGAME INSCINDIBILEL’altra quesione è relativa alle retribuzioni, che assieme alle aliquote costituiscono l’elemento fondamentale del montante contributivo. I salari degli ultimi anni sono rimasti al palo o sono cresciuti poco, soprattutto per i livelli di ingresso. Su questo occorre anche una riflessione nel sindacato affinché, anche in un’ottica di maggiore aderenza al nuovo sistema previdenziale, ci sia un maggiore equilibrio tra retribuzioni all’inizio della carriera lavorativa e riconoscimenti economici legati all’anzianità aziendale. Nel sistema contributivo il tasso di rivalutazione si calcola su quanto si accantona ogni anno, e dunque oltre ad essere fondamentale quanto si versa è importante anche quando si versa, nel senso che sarà favorito chi ha contribuito di più a inizio carriera. Discorso analogo a quello per i dipendenti, seppure con elementi di maggiore allarme, va fatto per gli iscritti alla gestione separata: la media dei compensi dei collaboratori a progetto degli ultimi quattro anni non ha mai superato i 10.000 euro, con uno squilibrio fortissimo di genere: le donne, infatti, non arrivano a 7 mila euro, mentre i collaboratori esclusivi monocommittenti hanno guadagnato in media solo 8.023 euro annui. Queste persone hanno retribuzioni molto basse e aliquote ancora non in linea con quelle dei dipendenti, e molti di loro hanno accumulato anni con aliquote ancor più basse (nella gestione separata si è partiti nel 1996 con il 10 per cento). Altro elemento problematico è quello relativo ai coefficienti di trasformazione della prestazione che, legati all’aspettativa di vita e nella previsione di un allungamento della stessa, porteranno oggettivamente a una riduzione ulteriore delle prestazioni pensionistiche. Prima era previsto un loro aggiornamento ogni dieci anni, poi è stato deciso dal governo Berlusconi un aggiornamento ogni tre, confermato dall’ultima riforma con effetti di penalizzazione ancora più importanti, soprattutto per chi deciderà di ritirarsi dal lavoro prima dei settanta anni.LA PREVIDENZA COMPLEMENTAREInfine, ad aggravare la condizione dei lavoratori precari e discontinui sta il fatto che essi spesso non possono iscriversi alla previdenza complementare (i parasubordinati, per esempio). Anche laddove possono farlo, peraltro, il sistema rischia di essere troppo oneroso, prevedendo il versamento del tfr e di una quota a loro carico (pari di solito all’1 per cento). Su questo il tentativo che si sta facendo nel nostro paese con Fontemp, il fondo di previdenza integrativa per i lavoratori in somministrazione, appare un elemento di assoluta novità. Per generalizzare questa possibilità, però, è necessario sostenere i lavoratori non a tempo indeterminato che scelgono questa strada. L’abbattimento della quota di liquidazione (oggi spesso utilizzata come ammortizzatore sociale nei periodi di non lavoro), il raddoppio del contributo da parte aziendale e un intervento specifico di fondi bilaterali contrattuali a compensazione della quota lavoratore sono le ipotesi che mettiamo in campo e che fannno parte anche di un patrimonio comune di Cgil, Cisl e Uil. Per chi non ha il tfr (gli iscritti alla gestione separata) bisogna pensare a modalità sostitutive con intervento economico delle committenze, senza penalizzare il reddito dei lavoratori stessi. Da anni Nidil pone con la Cgil il tema di milioni di lavoratori con contratti non standard, in particolare quanti hanno già accumulato nella propria carriera periodi consistenti di discontinuità e di “lavoro povero”, e delle loro prospettive pensionistiche. Il sistema contributivo, insomma, non può essere valutato solo in una logica economico-finanziaria, ma ha bisogno di correttivi che lo rendano socialmente sostenibile soprattutto per le nuove generazioni. “La partita delle pensioni non è chiusa”, ha detto Susanna Camusso. Riaprire la discussione sulla previdenza è il lavoro che ci aspetta nella prossima stagione. (prima pubblicazione 6 giugno 2012)