Dichiarazione di Gianni Forte, Segretario generale dello Spi Cgil Puglia
Le leggi ci sono già ed anche le disposizioni governative. Ciò che manca è la disponibilità ad assumere il problema come una emergenza prioritaria, per salvare la sanità pubblica e infondere fiducia nei cittadini, per lo più pensionati, che rinunciano a curarsi. L’assessorato regionale ci deve delle risposte, a partire dall’utilizzo di quei 30 milioni di euro che la giunta mise a disposizione per allungare gli orari entro cui fornire le prestazioni, per far crescere l’offerta. Sono rimasti inutilizzati o se n’è fatto un utilizzo distorto, che non ha prodotto effetti percepibili? Intanto le persone continuano ad essere respinte agli sportelli, con la motivazione che le liste sono chiuse. Ormai non si fornisce nemmeno una data, in aperta violazione di una legge nazionale che non lo consente. E spesso a farne le spese sono i malati oncologici che dovrebbero avere una corsia preferenziale. È il modo per spingere ad utilizzare l’intramoenia, la cui disponibilità non manca mai: metti mano ai soldi e la prestazione è pronta, nella stessa sede, con le stesse attrezzature, con lo stesso personale che avrebbe dovuto fornire la prestazione a carico del SSN. Sulle prestazioni in intramoenia siamo arrivati ad un punto critico. Lo ha sostenuto anche il prof. Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri e gli ha fatto eco il direttore di Gimbe: nella situazione data e con il personale che scarseggia, non c’è alternativa al blocco del servizio a pagamento, fino a quando non si saranno ridotti in maniera tangibile i tempi delle liste di attesa.
A mali estremi, estremi rimedi. Gli oppositori devono farsene una ragione: l’intramoenia va bloccata! Non sarà la soluzione? Si provi e verificarne gli effetti, magari facendo rientrare il provvedimento in un piano più complessivo che finora è assurdamente mancato. Altrimenti si continuerà a negare il diritto alla cura, sancito dalla Costituzione. E quando un diritto si ottiene a pagamento, non è più il caso di parlare di diritti, ma di merce. Con i privati che sono pronti ad occupare gli spazi che il pubblico offre. Lo abbiamo visto con l’offerta di servizi di pronto soccorso e di guardia medica. Allora, se la situazione è così grave, ci aspettiamo che almeno lo si riconosca. Che l’assessore alla sanità si porti fra la gente ad avvertire il disagio, a toccarlo con mano. Non ascolti solo le lobby pronte a difendere le rendite di posizione. Servono atti concreti anche da parte dei direttori generali, che invece di incassare premi di risultato (non si capisce di cosa) devono rispondere con soluzioni organizzative finalizzate alla soluzione del problema. La sanità pubblica è un bene che va difeso ad ogni costo.