L'intervista de La Gazzetta del Mezzogiorno al Segretario generale della Cgil Puglia, Pino Gesmundo, realizzata dal quotidiano il 30 aprile
Pino Gesmundo, Segretario generale Cgil Puglia, il senso del Primo Maggio in una terra dove precariato, sfruttamento e disoccupazione restano ben «radicati» a danno soprattutto di chi non ha santi in paradiso? «In Puglia c’è una questione che riguarda principalmente i giovani e le donne, e richiama la dignità stessa del lavoro. Quello di quest’anno è un Primo Maggio in cui c’è sempre meno spazio per la festa e sempre più per stilare la lista delle fragilità della società pugliese. Questo non toglie centralità a una giornata nata per ricordare le lotte per i diritti dei lavoratori, a partire dal diritto ad avercela una buona occupazione. Giovani e donne tra l’altro sono i due target assieme al Sud del Next Generation EU, declinato in Italia nel Piano di ripresa e resilienza. E staremo attenti affinché quelle risorse vengano spese proprio per migliorare la condizione delle persone, dei giovani che continuano a emigrare, delle donne».
Sarà una giornata con un pensiero a quanto sta accadendo in Ucraina... «Impossibile non avvertire la tragicità di un conflitto che sta producendo vittime e distruzione. L’invasione di uno Stato sovrano portata avanti dalla Russia investe l’Europa e il mondo in termini di tensioni geopolitiche crescenti, e ha evidentemente anche ricadute sul piano economico. Mentre l’Europa per far fronte alla crisi pandemica ha finalmente deciso di smetterla con politiche di austerity, la guerra scompagina tutto».
Torniamo ai mali di casa nostra. L’attuale classe dirigente pugliese è in grado di dare risposte adeguate al disagio sociale? «C’è un diffuso ed evidente disagio sociale sottovalutato dalla politica e dalle istituzioni. Una frattura con i cittadini nella quale prova a insinuarsi chi intende speculare su questo disagio: neofascismi di ritorno, populismi, chi propone soluzioni semplicistiche a questioni complesse. È in gioco la tenuta democratica se la politica non si fa carico in modo serio delle povertà e dei bisogni emergenti. Quando la priorità è scongiurare che gli investimenti del Pnrr finiscano altrove, c’è da mettere mano a progettualità di alto livello anche a valere sui fondi del Fesr, c’è da fare in modo che tutte queste risorse non determinino quanto già sta avvenendo, cioè crescita senza buona occupazione o addirittura perdita di posti di lavoro. Lo scenario futuro se non si inverte la rotta è di povertà lavorativa diffusa e desertificazione sociale. C’è una diffusa questione salariale che si aggrava in Puglia per la struttura del sistema produttivo, dove prevalgono settori a basso valore aggiunto. I dipendenti a bassa paga sono il 17,6%; gli inquadrati con rapporti a termine da più di 5 anni il 25% degli occupati precari, una stabilizzazione che non arriva mai e infatti le trasformazioni in lavori stabili interessano annualmente solo il 12,8%».
Sembra che Landini abbia sposato la linea del salario minimo. Lei che ne pensa? «Ben venga in tal senso, anche se, come ha affermato Landini, deve viaggiare assieme alla legge sulla rappresentanza, stabilendo chi è titolato a firmare contratti senza che nessuna azienda possa andare sotto non solo la paga orario, ma per tutto il complesso di diritti. In modo che la competizione si giochi sulla qualità del lavoro. Perché il lavoro che c’è è soprattutto questo: dei 538mila rapporti attivati nel primo semestre del 2021, 446mila erano a tempo determinato. Dei rapporti cessati, 391mila, avevano durata inferiore al mese 236mila, e da 1 a 3 mesi in 106mila casi. Che vuole dire che il 25,9% dei cittadini pugliesi è esposto a rischio povertà, in famiglie dove il reddito netto è inferiore al 60% del reddito famigliare netto mediano in Italia. E oltre 50mila occupati in Puglia sono nella soglia di povertà pur lavorando. E poi come dicevamo la Puglia non è una regione per giovani e donne: queste ultime hanno un tasso di occupazione del 36,5% rispetto al 64,8 degli uomini. A questo si somma il 37,5% che pure disponibile a lavorare ha smesso di cercarlo un lavoro perché sfiduciato o per i salari bassi, o per le condizioni di irregolarità offerte. Quanto ai giovani, oltre a essere le prime vittime del precariato, un quarto degli under 29 è impiegato tra commercio e servizi (settori caratterizzati da nero, grigio, violazione contratti, diritti negati) e quasi il 29% è cosiddetto Neet, ovvero non è impegnato in percorsi di studio o formazione».
E infatti i giovani emigrano dal Sud... «Le proiezioni demografiche dell’Istat ci dicono che nel 2030 la Puglia vedrà ridurre la popolazione di età 15-24 anni di oltre 100mila unità. Tra il 2002 e il 2020 hanno cancellato la propria residenza trasferendola all’estero quasi in 90mila. Quelli che invece si sono trasferiti nello stesso periodo in un’altra regione italiana sono oltre 470mila».
Per chi resta, lavoro povero equivarrà anche a pensioni povere? «La Cgil denuncia da tempo la difficoltà di costruirsi una carriera previdenziale. Per questo diciamo che la riforma delle pensioni penalizza soprattutto territori come la Puglia e il Mezzogiorno, se non prevede misure di sostegno soprattutto per i giovani e le donne. In Puglia l’importo medio delle pensioni al lordo è di 1000 euro che si abbassa a 800 per le pensioni di vecchiaia e a 700 per gli autonomi».
Dal lavoro povero al non lavoro. In Puglia sono in piedi decine di vertenze di peso che riguardano migliaia di persone. Il loro futuro? «Se c’è da creare nuova buona occupazione, priorità è difendere il lavoro che c’è, e in tal senso preoccupano i numerosi tavoli di crisi aperti, alcuni determinati anche dalle transizioni ambientali ed energetiche che è chiamato a fare il Paese. Dalla vertenza Ilva a Taranto – che il 6 maggio vivrà l’ennesimo sciopero per reclamare un tavolo permanente presso il Mise - a quella della Bosch a Bari, dove sono stati dichiarati 700 esuberi in cinque anni e dove reclamiamo con forza un nuovo piano industriale alla multinazionale tedesca che in altri siti sta investendo e innovando. Ma assieme il tema transizione richiama la necessità di dare risposte a esempio agli oltre mille lavoratori che ruotano attorno alla centrale di Cerano a Brindisi. E ancora le Tessiture del Salento con 105 lavoratori che sono in cassa fino a dicembre 2022 o la ex Osram di Bari, dove in cassa sono 136 dipendenti che attendono si concretizzino interessi di subentro manifestati da alcuni gruppi. Ma preoccupazioni sono legate allo stabilimento Fpt Industrial di Foggia che produce i motori diesel per i veicoli commerciali Fiat come, così come gli appalti delle mense ospedaliere o legate alla crisi della multiservice di Andria che coinvolge 87 lavoratori. Ci sono poi migliaia di posti di lavoro a rischio in quella galassia di piccole imprese che spesso sfuggono anche alla mappatura delle crisi. Tra le risorse del Pnrr e quelle della programmazione europea va costruito un grande piano di riconversione e formazione per ricollocare i lavoratori espulsi. Non possiamo permetterci di perdere un solo posto».
Le priorità? Dove intervenire per invertire la tendenza? «L’abbiamo detto all’inizio: se l’Italia ha avuto la fetta più grossa delle risorse stanziate dal Recovery è per colmare i divari di natura sociale e territoriale. Quindi vanno utilizzate per migliorare le condizioni di contesto della regione rendendola più competitiva e quindi attrattiva per nuovi investimenti, ma il tutto deve avere come fine ultimo il miglioramento della qualità della vita e del lavoro. Le imprese sembrano più preoccupate a accaparrarsi fondi che di ragionare in termini di strategie, di innovazione. La Regione su nostra richiesta ha costituito una cabina di regia che deve essere il momento di sintesi tra i vari territori e tra i progetti a valere sia sul Pnrr che Fesr e Fsc. Ma, ripeto, deve migliorare la condizione dei cittadini, a partire dalle opportunità di lavoro, dalle protezioni sociali, dall’accesso a diritti fondamentali come la sanità e l’istruzione».
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