«Vedremo quale sarà il decreto che il governo approverà. Ma se saranno confermate le cose che ci hanno detto a Palazzo Chigi sarà inevitabile che si passi dalla mobilitazione allo sciopero». Susanna Camusso, leader della CGIL, ha appena terminato l’incontro con il governo sulla spending review. Aveva chiesto all’esecutivo di non «gettare benzina sul fuoco». Ma non sembra abbia avuto ascolto.
Delusa o arrabbiata? «Tutte e due non si può? Sono delusa per il fatto che dal governo ci sia stata un’informativa reticente e criptica. Non ci è stata fornita nemmeno l’entità del decreto. E in più c’è un metodo inaccettabile: si esaurisce tutto in queste informazioni senza alcun confronto sulle conseguenze per i lavoratori. C’è una progressiva riduzione del ruolo delle parti sociali ».
Un governo tecnico non ha bisogno di mediare tra gli interessi in campo. Lo ha detto più volte il premier Monti. «Il risultato è che da mesi inseguiamo i problemi che via via vengono creati dal governo. Alla prova dei fatti questo è un metodo fallimentare. Pensi solo agli esodati. E sono arrabbiata perché noi il 3 maggio scorso abbiamo firmato un accordo con il ministro della Funzione pubblica Patroni Griffi che doveva essere propedeutico all’approvazione di una delega per la riorganizzazione della pubblica amministrazione. Che fine ha fatto quell’accordo? Perché il governo non dà seguito a quegli impegni?».
Lo sa anche lei: c’è una divisione tra Patroni Griffi e la Fornero sull’estensione del nuovo articolo 18 al pubblico impiego. «L’accordo che abbiamo firmato è molto più ambizioso: non si può ridurre tutto alla volontà di licenziare di qualche ministro».
Il governo ha detto che prima dei tagli agli organici si passerà alla ridefinizione delle cosiddette piante organiche degli uffici pubblici. Non è una garanzia? «Ma se l’unica cosa che ci hanno detto è che taglieranno del 20% i dirigenti, ma solo quelli a concorso e non quelli a chiamata decisi dalla politica, e del 10 % gli impiegati! Questi non sono altro che tagli lineari, non hanno niente a che vedere con una spesa pubblica più efficiente e di maggiore qualità. Ma si può tagliare allo stesso modo i dipendenti del ministero dell’Economia, i vigili del fuoco, gli infermieri di un ospedale o i poliziotti?».
Avrebbe preferito l’aumento dell’Iva? «Abbiamo sempre detto no all’aumento dell’Iva perché si traduce in una compressione dei consumi e in una riduzione di fatto del reddito disponibile. E meno consumi vogliono dire meno produzione e dunque aziende che chiudono e lavoratori che perdono il posto».
Avete ingoiato il rospo delle pensioni e ora siete pronti allo scioperare perché viene toccato il pubblico impiego, dove c’è il più alto tasso di sindacalizzazione. Non è una contraddizione? «Non può dirlo certo alla CGIL. Noi scioperammo in un clima di isolamento anche contro la riforma delle pensioni. Dicemmo che sarebbe scoppiato il caso degli esodati. Scioperammo, da soli, anche contro il blocco della contrattazione decisa da Berlusconi. C’è continuità, non contraddizione nella nostra azione. Abbiamo sempre cercato di contrastare le politiche che scaricano tutti i sacrifici sui lavoratori e che alimentano la spirale recessiva».
Sta dicendo che Monti anziché tirarci fuori dalla crisi ci sta facendo sprofondare in una recessione più profonda? «La sola logica del rigore porta a questi effetti».
Monti si è battuto per la crescita a Bruxelles. «Ecco, nelle politiche nazionali non ritrovo la stessa fermezza con cui Monti, grazie soprattutto all’arrivo di Hollande in Francia, ha contrastato le misure di austerity senza crescita. Questa, piuttosto, mi pare una contraddizione».
Ma come si fa a difendere la pubblica amministrazione italiana? «E chi la difende? Siamo i primi a dire che si deve tagliare».
Dove? «Tutte le consulenze, per esempio. Valgono 1,5 miliardi. Si possono dichiarare esuberi e poi rivolgersi ai consulenti?».
Altro? «Abolire le società controllate al 100% dagli enti locali e che non forniscono servizi ai cittadini. Sono solo poltrone in meno per la politica».