Controlli Inl, in Puglia il 60% delle imprese non in regola

14-08-2022 15:01:37

"Dati assolutamente preoccupanti ma purtroppo non sorprendenti: si conferma un mondo del lavoro in questa regione compresso, da un lato, da bassi salari e precarietà a causa delle norme che regolano il mercato del lavoro e per la struttura produttiva prevalente in Puglia; dall’altro, dal continuo ricorso a forme di lavoro illegale sul piano contributivo, fiscale e contrattuale che impoverisce il lavoratore così come l’intera collettività in termini di risorse sottratte, ma colpisce anche quelle stesse aziende che operano nel rispetto delle leggi attraverso una concorrenza sleale e dumping salariale. Imprese che dovrebbero insieme a noi chiedere una più robusta attività ispettiva e di contrasto preventivo".

 

È il commento del segretario generale della Cgil Puglia, Pino Gesmundo, al report 2022 sull’attività ispettiva nazionale per la vigilanza e la tutela del lavoro pulito e regolare redatto dall’INL – Ispettorato Nazionale del Lavoro, che coordina in ogni provincia l’attività degli Ispettorati, assieme ad INPS ed INAIL.

In attesa delle oltre 2500 assunzioni dell’Ispettorato nazionale, di questi oltre 900 con funzione di ispettori, nel 2021 sono state definite a livello nazionale oltre 84mila ispezione con un 69% di irregolarità accertata e oltre 1 miliardo di contributi evasi. E tra i lavoratori irregolari (quasi 60mila) quelli completamente a nero sono stati il 26%, “percentuale che se si guarda alla Puglia – commenta Gesmundo – sale al 41% sul totale irregolari, e dove la percentuale di imprese risultate non in regola è del 60%, mentre è del 62% per le cooperative di lavoro”.

In Puglia nel 2021 le ispezioni in materia di lavoro e salute e sicurezza sono state 7.034: 3.157 nel terziario, 1.934 in edilizia, 1.288 in agricoltura, 655 nell’industria. Le percentuali di irregolarità vanno dal 66,28% dell’edilizia al 61,55% del Terziario, quindi il 60,09% dell’industria e il 48,5% dell’agricoltura. “Più interessante la lettura dei dati attraverso i codici Ateco – afferma il segretario della Cgil Puglia -. Ad esempio il settore di attività relativo ad alloggi e ristorazione, per intenderci quelli direttamente connessi al turismo in Puglia e che lamentava mancanza di mano d’opera, ha registrato tassi di irregolarità del 74%. Viene il sospetto che non trovavano giovani da sfruttare, più che professionisti della ristorazione o dell’accoglienza. Così come altissime sono le percentuali di irregolarità nel settore estrattivo, nelle attività artistiche e di intrattenimento, nelle attività immobiliari, nel trasporto e magazzinaggio. Anche nella sanità e nell’assistenza sociale, settore delicato che soprattutto durante la pandemia è stato messo sotto pressione e che ha evidentemente abusato di lavoro irregolare”. Dei 4.915 lavoratori cui si riferiscono nel complesso le violazioni accertate in Puglia lo scorso anno, 2.005 erano impiegati completamente a nero, oltre un terzo di questi in agricoltura.

“In conclusione – sottolinea Gesmundo – condividiamo le dichiarazioni del direttore dell’Ispettorato nazionale: lì dove si tutela la legalità del lavoro si tutelano diritti individuali e collettivi ma anche la buona impresa. Per questo risulta sempre un po’ assordante il silenzio della rappresentanza datoriale rispetto a questi temi, per non dire di chi con estrema faccia tosta arriva al punto di parlare di militarizzazione del territorio o contesta norme di civiltà come la legge contro il caporalato e il lavoro nero approvata dal Parlamento anche sull’onda emotiva suscitata dalla vicenda di Paola Clemente e grazie all’azione del sindacato, o infine attaccano uno strumento di contrasto alla povertà come il reddito di cittadinanza. Parliamo di uno spaccato molto parziale, di attività ispettiva che interessa una percentuale molto bassa del numero di imprese, ma che conferma una propensione alla violazione delle norme alta, forse a causa dell’esigua possibilità di incappare in un controllo considerato il basso numero di ispettori in servizio. La speranza è che se non cresce culturalmente la nostra classe imprenditoriale, ancora evidentemente convinta che si possa reggere una competizione sul mercato comprimendo diritti e salari, l’aumento dell’organico ispettivo e quindi l’azione di controllo e repressiva possa spingere finalmente a rispettare non soltanto le leggi, la centralità del lavoro nella nostra organizzazione sociale, ma in primis quelle persone, migliaia di uomini e donne, che dal lavoro traggono la propria fonte di reddito per vivere una vita dignitosa”.


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