CONGRESSO FLAI FOGGIA / Daniele Calamita riconfermato segretario generale

27 -02-2014

Cinquantasei assemblee di base – 23 aziendali, 5 intercomunali e 28 comunali – e oltre 4mila lavoratori e lavoratrici che hanno partecipato al voto. Sono questi i numeri del 6° congresso provinciale della Flai Cgil di Capitanata, che si è svolto ieri presso l’Art Village di San Severo, e che ha visto la rielezione a segretario generale di Daniele Calamita. Eletti anche i componenti di segreteria: si tratta di Daniele Iacovelli – per lui una conferma – Magdalena Jarczak.

 

“Colori diversi Uguali diritti” lo slogan scelto dalla categoria dei lavoratori dell’agroindustria per sottolineare la condizione sempre più multietnica del lavoro – soprattutto bracciantile – in provincia di Foggia. Proprio il fronte della lotta allo sfruttamento del lavoro e alla negazione dei diritti ha visto particolarmente impegnata la Flai in questi anni. “Da ‘Stop Caporalato’ a ‘Gli invisibili delle campagne di raccolta’, dal sindacato di strada a ‘Mai più schiavi’, sono state tante le campagne di mobilitazione”, ha ricordato Calamita. E non sono mancati i risultati: dalla legge che ha portato alla ridefinizione quale reato penale del caporalato all’adozione dalla Regione Puglia degli indici di congruità, “abbiamo più strumenti per contrastare fenomeni lesivi della dignità umana prima ancora che distorsivi del mercato del lavoro”.

 

Ma restano ancora inquietanti i numeri del nero e del danno che sfruttamento e caporalato arrecano al sistema economico e all’erario. “Il sottosalario continua a rappresentare il 50% del salario contrattuale per tutte le categorie di lavoratori, che siano migranti o autoctoni – denuncia il segretario della Flai -. Si continua a pensare di poter competere sui mercato non migliorando la qualità dei processi e dei prodotti, non facendo filiera e consorziandosi, ma abbattendo diritti”.

 

Una proiezione è stata realizzata, a proposito di nero ed economia illegale, per il settore del pomodoro. “Attorno al caporalato ruota un valore economico che potenzialmente va dai 20 ai 30 milioni annui. Soldi sottratti ai lavoratori, sui quali nessuno paga tasse e contributi con un enorme danno per lo Stato, che alimenta spesso circuiti criminali” denuncia Calamita. “Vigendo di fatto ancora il pagamento a cottimo, i 27 milioni di quintali di pomodoro raccolto in Capitanata sviluppano 9 milioni di casse da 3 quintali, quelle utilizzate abitualmente per la raccolta. Ogni lavoratore è costretto a cedere da 1 a 2 euro al caporale per cassone riempito. Con un illecito che si aggira quindi tra gli 8 e i 18 milioni di euro. Se a questo sommiamo quanto pagano per il trasporto sui campi, per poter ricaricare i telefonini, per quanto dovuto per vivere in accampamenti improvvisati, la cifra complessiva fornita non crediamo sia tanto lontano dal reale. E parliamo solo dell’oro rosso…”.

 

“Una situazione – ha concluso Calamita – che è figlia anche di una crisi indotta dell’agricoltura, succube di speculatori del commercio. Vi sono poi aziende che spiccano per capacità d’innovazione e commercializzazione, altre arretrate e obsolete. Serve una presenza dello Stato e un controllo maggiore per debellare lo sfruttamento, ma senza una vera rivoluzione culturale del nostro sistema imprenditoriale, continueremo a perdere le grandi occasioni di sviluppo che una terra come la Capitanata ha nel settore primario e della trasformazione”.

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