Discriminazioni, divari occupazionali e salariali, violenze. La condizione delle donne al centro della tavola rotonda della Cgil

CHE GENERE DI SVILUPPO? INIZIATIVA ALL’UNIVERSITÀ DI BARI CON AL CENTRO LE RISULTANZE DEL RAPPORTO OMBRA CEDAW

06-03-2024 13:46:50

Che genere di sviluppo? È la domanda alla quale ha provato a rispondere oggi la Cgil Puglia nel corso della tavola rotonda - moderata dalla giornalista Maristellla Massari - organizzata presso l’Università di Bari, a partire dalle risultanze del rapporto Ombra Cedaw sulla condizione della donna nella società italiana. Discriminazioni, violenze, divari occupazionali e salariali sono lo spaccato poco confortante che vede soprattutto il Mezzogiorno e la Puglia presentare problematiche che reclamano un lavoro culturale in primis per uscire da stereotipi e valorizzare il contributo delle donne nella società e nel mondo del lavoro. 

Dopo i saluti del direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, Andrea Lovato, che ha ricordato “quanto può sembrare anacronistico parlare nel 2024 ancora di conquiste per la piena parità, ma è invece necessario affrontare queste tematiche della disparità e delle violenze, e bene fa la Cgil a tenere alta l’attenzione”, è toccato a Mabel Grossi, dell’Area Politiche Internazionali della Cgil, il compito di illustrare lo strumento del rapporto Ombra Cedaw. “Fondamentale parlare a ragazze e ragazzi di questi temi, che investono la vita delle persone, delle donne soprattutto. Questo rapporto è importante per come lo usiamo, è giuridicamente vincolante per gli stati che aderiscono alla convenzione, che devono far rispettare le leggi, proteggere le donne, mettere in campo misure concrete di tutela. E investe anche parti sociali, le imprese, ogni ambito della vita civile e pubblica”. Un monitoraggio che investe le istituzioni ma anche le organizzazioni della società civile, a garanzia di una fotografia quanto più reale della condizione. “Purtroppo lo stato italiano non ha seguito un approccio sistematico e strutturale per conseguire una sostanziale parità di genere. Mancano politiche, strategie, investimenti, su cura e lavoro in particolare, persistono stereotipi, violenze, segmentazione della società. C’è una tendenza a definire politiche di pari opportunità solo attraverso l’ottica della famiglia e della maternità, soprattutto con questo governo. Quindi ancora dentro stereotipi”. Sul lavoro le donne “sono meno occupate, sono precarie, sono povere e oggi e povere in pensioni, con divari anche qui con assegni percepiti dagli uomini. C’è una forte incidenza del part time involontario, quindi guadagnano meno. Anche sul tema violenze parliamo di un fenomeno che non viene analizzato, che vede poche risorse per centri anti violenza e case rifugio. Così come il lavoro di cura ricade ancora in larga parte sulle donne, senza alcun riconoscimento del suo valore sociale ed economico, e non vede politiche pubbliche di supporto. Infine raccomandazioni allo stato italiano sono arrivate rispetto alla condizione delle donne migranti”. 

La voce del mondo del lavoro è arrivata attraverso una lavoratrice del comparto vigilanza, Lucia Leone. “Il nostro è mondo pieno di pregiudizi e cliché. Nella mia azienda sono l’unica donna, anche perché siamo costretti a di turni di molte ore, anche dodici, che in alcun modo favoriscono la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Siamo molto lontani da questo. Essere guardia giurata e madre per molti anni single ha significato aver dovuto fare salti carpiati perché tutto si tenesse. Spesso lavoriamo per pagare strutture private o baby sitter, mancando del tutto una rete pubblica di aiuto e sostegno accessibile. Devo dire che l’azione collettiva, l’adesione al sindacato, è stato di grande aiuto, sia per l’affermazione dei diritti che per un’agire collettivo che è di aiuto anche a non abbassare la testa”. Anche Donata Raffaele, infermiera del sistema sanitario nazionale, impegnata sindacalmente, ha raccontato “di discriminazioni e anche casi di minacce e offese addirittura ai tavoli della contrattazione, subite da esponenti di altre sigle sindacali o responsabili sanitari. Si contrastava il dissenso rispetto a decisioni ma con nessun uomo si è mai agito così. Dobbiamo partire dal riconoscere i casi discriminazione, avere consapevolezza dei pregiudizi e di come vengono utilizzati. E non avere paura di testimoniare e denunciare, anche se riguardano altre. Il meccanismo di solidarietà tra lavoratrici, tra donne, è fondamentale”.

Valeria Cirillo, docente di Economia Politica dell’Università di Bari, ha sottolineato come chi fa indagini sui divari di genere non può che partire dai dati, eppure i primi problemi partono proprio da lì, da come si raccolgono, dai metodi. “C’è una scelta politica, ad esempio rispetto alla povertà lavorativa, di partire dal nucleo famigliare e non dall’individuo. Così si oscura la condizione di genere, gli uomini risultano più esposti quando la realtà che conosciamo ci racconta altro. Il tema non è avercela con la famiglia, ma si parte da un’idea di equa ripartizione di risorse al suo interno, invece in molti casi non accade. È una lettura che non considera un elemento chiave, quello del potere, nello specifico quello maschile. Inoltre non si considerano le lavoratrici che lavorano sotto i sei mesi, a bassa intensità lavorativa. Quindi c’è una evidente sottostima. Dal punto di vista di ricercatrici stiamo cercando di modificare l’approccio a queste indagini, ai dati, a come vengono costruite. C’è una campagna, Dati per contare, che punta a raccogliere dati che definiscano meglio la condizione di genere”. 

Per Tiziana Fioravanti, studentessa e attivista di Link, “la consapevolezza su forme di violenza e discriminazione tra i giovane e le ragazze soprattutto è aumentata. Anche i luoghi della formazione continuano a essere luoghi di dinamiche di potere e prevaricazione, reiterando logiche gerarchiche e sessiste della cultura patriarcale. Riceviamo numerose segnalazioni di molestie che riceviamo, diventato tema di attualità per casi denunciati in tanti atenei italiani. Ci sono sportelli anti violenza universitari e come associazione abbiamo partecipato alla stesura di un codice anti violenza che speriamo sia presto approvato ma non basta. Discriminazioni vedono solo il culmine nelle forme più violente, ci sono tante forme meno evidenti: dal linguaggio ai libri, assistiamo carenza di pari opportunità. Temi che sistematicamente dovrebbero esser all’attenzione dell’organizzazione di ateneo e non lasciati alla sensibilità della singola docente. Anche nei percorsi di alta formazione vi sono forme di segregazione, ci sono materie ancora considerate non tradizionalmente femminili nonostante i dati smentiscono questi stereotipi. Ma purtroppo sono fattori culturali che incidono sulle scelte dei percorsi formativi e poi lavorativi”.

“La generazione Z è sicuramente quella più aperta e disponibile a un cambio culturale, nonostante le letture che abbiamo ascoltato  confermano una sistema ancora gerarchico e patriarcale”, ha affermato Lella Ruccia, Consigliera di Parità della Regione Puglia. “Il nostro ufficio è un organismo autonomo, che vuole condividere un fare comune. È importante conoscere gli organi di parità, ogni statuto comunale prevede le commissioni di pari opportunità. Ma è spesso rimessa alla sensibilità delle amministrazioni, spesso è merce di scambio con le opposizioni. Ebbene in questo scenario noi ci muoviamo e allora le donne devono rivendicare il loro lavoro costante di affermazione di diritti umani. I rapporti di genere sono rapporti di potere, su questo si è costruito un sistema economico e politico. Questo sistema economico si poggia su una gamba invisibile che è un welfare invisibile, identificato con il lavoro di cura delle donne. Un modello che perdura e semplifica la complessità e porta a discriminazioni e pregiudizi. Dobbiamo allora appropriarci di contenuti comuni, condividere modelli: i femminismi non chiedono l’uguaglianza ma la parità, che si consegue partendo dalle differenze. E questo lo si fa con le norme, con gli strumenti di partecipazione, ma soprattutto con un approccio condiviso e culturale delle donne assieme agli uomini”.

Nelle conclusioni, la segretaria confederale della Cgil Puglia, Filomena Principale, ha ricordato come “la scelta di voler fare in un’aula universitaria questa iniziativa ha pagato per la presenza e l’attenzione della platea. La lettura dei dati, l’analisi del rapporto Ombra, le parole della Consigliera, rimandano al cuore della questione che deve vederci agire, e cioè la questione culturale che sovrintende al modello patriarcale. Forse la mia generazione ha pensato troppo presto che un percorso era compiuto, che la strada dei diritti era percorribile. Così non è stato, il quadro tracciato non è consolatorio. Le raccomandazioni allo stato italiano ci parlano di una donna riconosciuta principalmente nell’imbuto donna dedita alla cura e madre. Così si soffoca un protagonismo pubblico, civile e politico. La conseguenza di questa considerazione frutto di stereotipo sappiamo cosa comporta: segregazione occupazione, discriminazioni, povertà. I profili critici nel mondo del lavoro sono tanti: bassa occupazione femminile, divari di genere tra i più alti i Europa, differenze salariali. La stragrande maggioranza delle donne lavoratrici denuncia di aver subito molestie. Di matrice culturale che alimenta stereotipi sono intrisi anche i libri fin dalle scuole primarie. Che si riverbera nei luoghi dove si detiene il potere e si prendono scelte, fino ai casi di molestie e violenze. Ma siamo qui, come si diceva, per condividere e trasferire pratiche e modelli che devono vederci collettivamente protagoniste e impegnate per un ripensamento sistematico del nostro ruolo nell’associato, nell’economia. Tutte e tutti siamo chiamati a contribuire, un impegno e assieme un dovere necessario”.


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