Forte su lettera Natuzzi a Napolitano: basta competere comprimendo diritti e salari

06 -12-2013

La lettera di Pasquale Natuzzi al Presidente della Repubblica a cui l’imprenditore chiede di non essere lasciato solo nella battaglia alla legalità, ritengo sia un gesto condivisibile, a cui tuttavia vanno aggiunte delle considerazioni. La prima riguarda l’analisi di quello che sta accadendo, frutto di un processo in cui nemmeno il più importante gruppo imprenditoriale del mobile imbottito, si è sottratto alla logica che la competizione potesse avvenire solo comprimendo costi e sottraendo diritti a partire da quello fondamentale, che è il lavoro.

 

Ricorrere alla parcellizzazione della produzione delocalizzando o esternalizzando il prodotto italiano e nella fattispecie pugliese, è un processo che alimenta una spirale inarrestabile fatto di: illegalità, retribuzione da miseria, sfruttamento e riconoscimento dei diritti pari a zero. Condizioni queste che riducono il lavoro in schiavitù. Questo vale sia per il settore del mobile imbottito, sia per l’agricoltura, sia anche per l’abbigliamento dove si verificano crescenti fenomeni di decentramento produttivo. Un esempio è quello del distretto di Martina Franca dove i lavoratori cinesi vengono illegalmente impiegati di notte sugli stessi macchinari utilizzati durante il giorno da lavoratrici italiane. Ma accade anche che questi stessi lavoratori cinesi siano “utilizzati” per sostituire italiani licenziati o in cassa integrazione. Parliamo dunque di un fenomeno degenerativo che alimenta la concorrenza sleale fra imprese, il cosiddetto “dumping”, ma fondamentalmente ricade sui lavoratori. Come uscirne?

 

Condizione prioritaria non può che essere il rafforzamento della legalità attraverso il consolidamento dei controlli sul territorio e nelle imprese da parte dello Stato e degli organi preposti. Questa è la prima direttrice individuata dalla Cgil. Il secondo punto su cui si concentra il sindacato è l’individuazione di norme a tutela del made in Italy attraverso tracciabilità del prodotto e luogo di provenienza al fine di individuare in maniera chiara come e dove si produce. Questo diventa l’unico modo per certificare da un lato la qualità del prodotto e dall’altro l’eticità dell’impresa attraverso il rispetto dei diritti dei lavoratori.

 

Esempio concreto è quello che sta accadendo a livello europeo attraverso la campagna della Flai Cgil, Federazione Lavoratori dell’Agro-Industria, che ha coinvolto i colossi della grande distribuzione nel respingere la commercializzazione di prodotti realizzati da lavoratori a nero, privati dei loro diritti. Potente arma di questa battaglia per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori è stata la sensibilità dei consumatori che vogliono nei carrelli e sulle tavole, un prodotto di qualità e di indubbia provenienza. Come logica conseguenza di questi processi, la terza priorità non potrà che essere l’individuazione di azioni e norme volte a favorire processi di emersione del lavoro nero come è accaduto a Barletta dove la Cgil è scesa in campo per tirar fuori dai sottoscala produzioni tessili, ora collocate in un’apposita area industriale messa a disposizione della Regione Puglia. Una bella pagina di storia sindacale che speriamo non venga sporcata dall’inchiostro delle millantate difficoltà di accesso al credito.

Per concludere: se la sostenibilità è la nuova frontiera dello sviluppo del sistema produttivo, non si tratta solo di garantire la sicurezza ambientale, ma la sicurezza sociale e i diritti di chi lavora, per cui non basta guardare a cosa e dove si produce, ma anche a chi e come si produce.

 

Gianni Forte

Segretario Generale Cgil Puglia


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