Rivoluzione digitale, la sfida dell'innovazione vista dalla Puglia

06-02-2018 14:11:42

L'intervento integrale del del Segretario Generale Cgil Puglia, Pino Gesmundo, alla Conferenza di Programma della Cgil tenutasi a Milano il 29 e 30 gennaio 2018

Abbiamo fatto bene a tenere questa nostra conferenza e abbiamo fatto bene a centrarla sulla trasformazione in atto, che è diversa dalle precedenti quella che noi definiamo quarta rivoluzione industriale non cambia solo ciò che facciamo, lo diceva anche Susanna nella sua relazione, ma anche ciò che siamo.

Chi non abbraccia il cambiamento rischia di uscirne sconfitto.

Abbiamo ribadito che cambiano finanche gli stili di vita, ad esempio l’idea del consumatore che sentendosi parte del processo della vendita stessa, quando legge lui e non la cassiera il codice a barre del suo acquisto, pretende la riconoscibilità del suo lavoro attraverso un risparmio, ovviamente a scapito della cassiera e quindi del lavoro vero.

Le innovazioni hanno un impatto troppo forte sulla nostra quotidianità per permetterci di ignorarle.

È necessario comprenderle e trarne vantaggio, altrimenti c’è il pericolo che gli eventi ci travolgano.

Novità e innovazioni che stanno cambiando il mondo e lo cambieranno irreversibilmente.

E’ di questi giorni la notizia della grande diffusione del sistema del blockchain. Stiamo faticosamente capendo il grande ruolo e le grandi potenzialità che può giocare questa tecnologia. Ma pensiamo ai bitcoin, a tutti i tipi di transazioni, di denaro, dati e così via, ma anche tanti rischi di evasione, elusione dei controlli e di scarsa trasparenza delle transazioni finanziarie magari invogliando investimenti in finziarizzazione, in concorrenza con gli investimenti in lavoro e per il lavoro. Con le inevitabili ricadute sul sistema bancario, in primis sugli occupati.

Oppure l’intelligenza artificiale. E’ diventato chiaro a tutti che in questo campo si è avuto un progresso straordinario.

Nell’elenco metto anche le auto senza pilota. In Australia, e negli Stati uniti sono state realizzate strade per camion e auto senza pilota.

Sono state stampate le prime case in 3D e i tecnici sostengono che a breve avremo anche gli organi umani stampati con tecnologie additive. Impianti sottopelle e chip che sostituiranno alcune funzioni che adesso abbiamo nei nostri smartphone o computer. Si producono strumenti in grado di rilevare in tempo reale, grazie a specifici sensori, la pressione del sangue e i battiti del cuore.

L’innovazione quindi corre veloce.

È una rivoluzione che sta cambiando tutto: modelli di business, competitività.

Quindi il modo in cui i governi mettono a punto schemi di riferimento e politiche per assecondare questo progresso e creare vantaggio per i cittadini deve essere il nostro punto di attenzione massima.

Questa è una rivoluzione totalmente diversa dalle altre, intanto per la velocità dei cambiamenti: la prima rivoluzione industriale ci ha impiegato circa 80 anni per produrre tutti i suoi effetti, la seconda 50, la terza 30, questa invece si sta abbattendo sulla realtà come uno tsunami.

Pensiamo ad Air-B&B o a Uber: non sono nuovi prodotti, ma nuovi sistemi per rispondere a specifiche esigenze delle persone.

Ed ancora, questa volta siamo di fronte a un cambiamento diverso rispetto agli altri: questa rivoluzione non cambia solo ciò che facciamo, ma anche ciò che siamo, è così pervasiva da riuscire a impattare sulla nostra identità.

Ci sono molti imprenditori e manager dalle mie parti soprattutto del manifatturiero che ritengono l’innovazione sia soltanto un’occasione per migliorare il proprio business. Invece questa rivoluzione ha forti impatti sugli stessi modelli di business.

Introduce modelli basati sulle piattaforme, cambia gli stili di leadership imponendo un ricorso maggiore e più intelligente alla collaborazione e all’interrelazione degli stessi sistemi. Implica un nuovo modo di pensare e di fare: non è solo un’evoluzione di quello che c’è già.

E siamo solo agli inizi!

Molto probabilmente non saremo più possessori di automobili, ma le utilizzeremo on demand. Così come cambiano i nostri bisogni, allo stesso modo si trasforma l’ecosistema urbano. L’impatto sulla mobilità sarà enorme anche rispetto agli stessi assetti urbanistici.

Cambierà il modo in cui ci prendiamo cura della nostra salute.

Molti di noi indosseranno dispositivi in grado di misurare immediatamente ogni deviazione dai nostri normali parametri di salute. Sarà un modo di vivere completamente nuovo.

Ma ovviamente ci sono dei rischi!

Uno dei lati oscuri di questa rivoluzione è la paura che genera nelle persone. Soprattutto contro i leader e contro le istituzioni, che sono ritenute le prime responsabili di questi cambiamenti.

Se nel mondo stanno crescendo tante forze di opposizione che demonizzano le istituzioni, sia politiche che economiche, è anche perché il timore aumenta.

È una reazione simile a quello che fu il luddismo nella prima rivoluzione industriale, ovvero la risposta violenta all’introduzione delle macchine.

Tuttavia, questa rivoluzione c’è e non si può fermare. A noi il compito di arginarne le deviazioni negative e di sfruttarne le potenzialità attraverso un governo vero dei processi. Bisogna che siamo convinti che la tecnologia non è neutra e il futuro dipende sempre dalle scelte degli uomini nonostante gli algoritmi.

Penso che dalla Brexit, alla vittoria di Donald Trump negli Usa e finanche alla politica della costruzione di muri, della recrudescenza di fenomeni xsenofobi e razzisti e i consensi a leader alla Salvini siano figli anche di queste paure, ovviamente c’è tanto altro, ma i cambiamenti creano timori soprattutto se non conosciuti. Questi cambiamenti hanno un grande impatto sulle persone.

Creano appunto paura, precarietà, ma anche rabbia. E portano i cittadini a prendere decisioni seguendo le proprie emozioni, basandosi meno sulla razionalità.

In questo scenario, i leader populisti vincono perché dichiarano di farsi carico di queste emozioni nonostante non hanno veri programmi per il futuro.

Questo, ahimé, è uno degli sviluppi più pericolosi della rivoluzione in atto.

La gestione dei big data. Sanno tutto di noi! e il loro utilizzo spesso in regime di monopolio, la strutturazione stessa delle imprese o delle piattaforme per dimensione e collocazione geografica al di sopra o oltre gli stati, il loro peso economico può condizionare le scelte degli stessi Stati sia economiche che sulla stessa tenuta democratica.

Ma una delle questioni che più deve interessarci e preoccuparci riguarda la distruzione di posti di lavoro. C’è il pericolo che le tecnologie riducano l’occupazione a una velocità maggiore rispetto a quella con cui si crea nuovo impiego.

Ma se il processo, e i processi, sono irreversibili allora il punto è che dobbiamo lavorare per governarli: da un lato dobbiamo pensare ad un nuovo sistema di ammortizzatori e tutele sociali – garantendo l’accesso alla sanità per tutti, con politiche di invecchiamento attivo e per la non autosufficienza, lavorando a un welfare universale evitando di aumentare disuguaglianze tra chi si vede garantito l’accesso a una serie prestazioni tramite la contrattazione, sostenuta anche con fondi pubblici, e chi invece come cittadino o pensionato ne è sempre più escluso; dall’altra dobbiamo agire per dare una visione positiva, in base alla quale i robot e l’intelligenza artificiale non sostituiscono gli esseri umani ma li liberano e danno loro più tempo per se stessi ma anche per fare altri lavori, magari più gratificanti.

Il punto è capire, insomma, se una piattaforma tipo Uber sta distruggendo il lavoro dei tassisti oppure sta liberando le persone dalla schiavitù di lavorare dalle 8 di mattina fino alla sera e di non disporre del proprio tempo liberamente. Capisco l’azzardo ma dobbiamo cimentarci! Come ha detto Elena Lattuada, contrattare e sperimentare.

Mi chiedo: se a questi nuovi tipi di lavori venissero garantiti gli stessi diritti che agiscono per i lavori tutelati, avremmo fatto bene il nostro lavoro? Orari, sicurezza, turni, ferie, retribuzioni adeguate e magari un sistema previdenziale di garanzia? Questa è la domanda ma anche la nostra sfida! Alla continua ricerca del giusto equilibro che vi deve essere tra gli interessi dei lavoratori e quelli del capitale, di chi fa impresa.

Tutto Dipende da quanto le persone, e i leader, le istituzioni preposte, le organizzazioni sociali il sindacato e quindi anche noi sappiamo abbracciare e governare o meno il cambiamento, comprendendone la sua ineludibilità, anziché combatterlo.

In posti come la Silicon Valley, Nairobi, Berlino e altri assistiamo a una competizione per diventare capofila dell’innovazione tecnologica.

Le persone che lavorano in questi luoghi sono quelle che aumenteranno il Pil pro capite dei propri paesi perché li renderanno più competitivi, e allo stesso tempo aumenteranno gli standard qualitativi di vita a livello globale.

I Paesi a loro volta sono stati protagonisti di ingenti investimenti pubblici finalizzati alla ricerca (La Mazzucato li definisce “capitali pazienti”). Perchè i finanziamenti privati non sono sufficienti. E i finanziamenti devono essere governati. Perché l’innovazione è pervasiva e bisogna saper orientare le scelte, rivendicando la non autonomia della innovazione.

Il rischio è, e rimane, l’aumento delle disuguaglianze a favore dei potenti della terrà contro coloro i quali sono stati troppo frettolosamente definiti gli sconfitti della globalizzazione e che oggi rischiano di rimanere anche sconfitti dai processi di innovazione. Mi sembra un pò troppo!

Il nostro impegno dovrà essere quello di mettere al centro di ogni processo il tema dell’occupazione e della qualità del lavoro: e di come lo abbiamo declinato e cioè del: “BUON LAVORO” che rappresenta il cuore e il valore della nostra straordinaria intuizione strategica che è la nostra “carta dei diritti”.

Bisogna attivare e riattivare percorsi di contrattazione che è lo strumento del governo. Servono scelte del lavoro organizzato, del sindacato. E bisogna farle adesso, perché la rivoluzione è già in corso. E se il tema è quello di orientare le scelte, dare nuove risposte sociali e ricomporre il lavoro, allora più che mai la nostra contrattazione deve vedere giustamente il territorio come luogo della nostra azione e il superamento degli steccati categoriali per definire una vera contrattazione di tipo confederale. Anche in relazione al tipo di contrattazione sociale che volgiamo operare e che vede il territorio protagonista delle scelte.

Una rivoluzione culturale sulla contrattazione. Bisogna costruire nuove prassi contrattuali che includano. Contrattazione di sito, filiera. Cambiano i luoghi dove si lavora e soprattutto quelli del lavoro povero dove facciamo fatica ad insediare la nostra rappresentanza, che non è ovviamente solo quello agricolo ma a tutto il mondo del call center, dei servizi. Ma abbiamo visto come se aggrediti, se presenti e attivi, abbiamo riscontri in termini di emersione e anche di proselitismo e crescita di autorevolezza.

Esistono, peraltro sistemi differenti anche sul nostro territorio.

Esistono sistemi evoluti e sistemi di grande sfruttamento!

Ci tocca tenerne conto nelle nostre discussioni!

Mi è piaciuta una riflessione che ho letto di Franco Martini che sosteneva che siamo nella fase nella quale dobbiamo difendere la fabbrica che costruisce airbag sapendo che stiamo andando verso aziende che costruiscono automobili senza pilota.

C’è una diversità ed una transitorietà che va assolutamente governata.

La differenza tra Mezzogiorno e resto del paese ancora esiste e la “questione meridionale” è ancora tutta in piedi con tutti i temi che non snocciolo ma che conosciamo tutti molto bene.

Noi in Puglia siamo impegnati da tempo dentro la Cgil in un confronto sui temi dell’innovazione digitale per cogliere e governare - anche in sede di contrattazione - le diverse ricadute che potrà avere sull’economia, sul lavoro, sulla condizione di chi lavora, affiancando in parallelo quello che è il dibattito che si è sviluppato in Italia e in Europa su Industria 4.0.

Ma se lo slogan è innovare per crescere, in Puglia c’è da segnalare un ritardo circa investimenti in ricerca e sviluppo, che sono solo lo 0,8% del Pil, al di sotto anche della media del Mezzogiorno d’Italia.

Quel che vediamo oggi nella nostra regione non ci fa stare tranquilli: a fronte di alcune eccellenze di livello nazionale ed europeo in settori come aerospazio, meccatronica, automotive, agroindustria, prevale un tessuto di piccole e medie imprese, che ha maggiori difficoltà di accesso al credito, una struttura organizzativa più debole, un limite alla realizzazione di investimenti.

Di contro il tasso di sopravvivenza a tre anni delle imprese nei settori ad elevata innovazione e intensità di conoscenza è del 45 per cento.

La Regione Puglia ha operato sul versante dei finanziamenti alle imprese sostenendo innovazione e ricerca, ma anche investendo sulla Banda ultra-larga, sanità digitale, digitalizzazione di importanti pezzi di P.A., sulle smat gread, ma non bastano start up e autoimprenditorialità, c’è una bassa qualità della domanda di lavoro e questo è addebitabile a una debolezza della struttura produttiva”.

Su un totale di circa un milione e quattrocentomila occupati, 990mila sono nei settori dei servizi, “spesso a bassa produttività e che non risponde all’offerta di lavoro di chi è più qualificato.

Non è un caso che il vero e proprio esodo giovanile che vive la Puglia e il Mezzogiorno per una buona metà riguarda laureati che non riescono a spendere nel proprio territorio il bagaglio di conoscenze acquisite. Prevale la sfiducia – un terzo degli under 24 nella regione rientra tra i cosiddetti Neet, non studia e non cerca lavoro -, le persone senza occupazione sono 287mila e il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 50%.

E’ evidente come, nel sistema di imprese non vi è forse piena conoscenza e consapevolezza dell’evoluzione della tecnologia digitale nei settori manifatturieri, dei processi di cambiamento in atto. O forse, nella regione che ancora vive l’offesa del caporalato in agricoltura ma non solo, c’è ancora qualcuno che crede che si possa competere sui mercati internazionali continuando a comprimere diritti e salari.

Il tema evidente è quello di scommettere in nuove tecnologie digitali anche nel mezzogiorno cambiando l’organizzazione produttiva e di mercato delle aziende e il modo stesso di lavorare e quindi favorire lo sviluppo di nuove competenze e un tasso più alto di coinvolgimento e di partecipazione dei lavoratori nelle scelte aziendali e nei processi produttivi.

Ma per agire sugli impatti che questi processi di innovazione potranno avere sull’occupazione e sulle condizioni del lavoro dobbiamo rispondere con l’impegno e la formazione intanto dei nostri quadri e gruppi dirigenti.

Ma anche innalzamento e valorizzazione delle competenze, ripensamento del sistema formativo, apprendimento permanente, risposte ai bisogni sociali non soddisfatti, percorsi di formazione e riqualificazione professionale, anche utilizzando strumenti di apprendimento duale. Sono le sfide che chiamano a un adeguamento del modo di fare sindacato e contrattazione.

Abbiamo scritto una piattaforma che declina la nostra intuizione del piano del lavoro sul territorio pugliese. Sul nostro territorio l’innovazione può essere vissuta anche come la leva per ridurre l’impatto ambientale delle produzioni con tecnologie tradizionali e che prevedono l’uso di combustibili fossili. E ovviamente non è solo all’ILVA che mi riferisco, che rimane il paradigma di questa esigenza, ma penso anche alla centrale di Brindisi o alle implicazioni e preoccupazioni che vive il territorio salentino per il progetto della Tap.

La Puglia ha pagato e paga un prezzo altissimo a questa condizione. Innovazione deve anche significare risparmio energetico, maggiore sicurezza dei luoghi di lavoro, miglior uso e salvaguardia del territorio. E’ una sfida aperta che noi come sindacato dobbiamo raccogliere.

Quindi, come abbiamo più volte detto e come anche il documento che ci avete consegnato ieri, e, che ritengo di grande valore, afferma, per sostenerne gli investimenti in innovazione sia sul versante legislativo e sociale il ruolo che deve svolgere il Pubblico è dirimente” ed è per questo che Puglia stiamo combattendo una battaglia feroce nei confronti della Regione per il corretto utilizzo dei fondi comunitari e una vera informatizzazione della Pubblica Amministrazione.

Anche perché le politiche messe in campo dal Governo “puntano a sostenere una implementazione spontanea e non finalizzata, e le imprese sembrano interessate soprattutto a massimizzare i benefici fiscali sugli investimenti, senza riflettere sui bisogni del Paese.

Così come non ci sembra che vi sia una collaborazione con università e centri di ricerca, per comprendere orientamenti e opportunità. Un patrimonio di conoscenza da sfruttare da parte delle imprese, a partire dal Politecnico di Bari che è nella cabina di regia del piano nazionale Industria 4.0 predisposto dal Governo”.

Sono proprio convinto che “Compito imprescindibile del sindacato, sarà quello di evitare che l’innovazione divida ancor più la nostra società tra giovani e anziani, tra occupati e chi è in cerca, tra chi ne è partecipe e chi ne è escluso, evitando polarizzazioni all’interno del mercato del lavoro e quindi marginalità.

Così come sarà ineludibile affrontare il tema della redistribuzione, dopo anni in cui crescendo l’innovazione e la produttività è diminuito il salario, il reddito, il benessere dei lavoratori.

La sfide che ci aspettano sono nuove ed entusiasmanti ma dobbiamo farle anche per evitare di dare l’impressione di essere noi superati ed obsoleti. E BUON LAVORO”.

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