Per l’Ilva un futuro senza Riva. Forse il ricorso al referendum si poteva evitare

02 -06-2013

di Michele Tursi 

Il 17 aprile del 2012 un ex dirigente Ilva, il responsabile delle relazioni industriali, Pietro De Biasi così si esprimeva in ordine alla possibilità di coprire i parchi minerali dello stabilimento di Taranto. «Questa ipotetica copertura, oltre ad essere del tutto irragionevole, è di fatto irrealizzabile. Una simile opera dovrebbe abbracciare un area di ca. 600.000mq per un volume approssimativo di 30 milioni di metri cubi. ll famoso stadio olimpico di Pechino, giustamente considerato una vera e propria impresa architettonica ed ingegneristica, e soprattutto un’opera mastodontica, copre un’area di 73.000mq per un volume di 3,2 milioni di metri cubi, appena più di un decimo dell’area dei parchi minerali dell’llva di Taranto. Siamo rammaricati che Ella, probabilmente sulla base di informazioni non precise, partecipi alla propalazione, già troppo diffusa a Taranto, di messaggi irrealistici e demagogici, rischiando così di danneggiare non solo l’Azienda ma soprattutto il lavoro presente e futuro di migliaia di lavoratori». Qualche settimana dopo De Biasi lasciò il suo posto in Ilva. Il 26 luglio del 2012 scattarono gli arresti dei Riva ed il sequestro dell’area a caldo. A fine ottobre di quello stesso anno, la copertura dei parchi minerali è stata inserita nella nuova Autorizzazione integrata ambientale. Quello che sei mesi prima era «irragionevole e irrealizzabile» per l’Ilva diventa possibile. Il destinatario della missiva di De Biasi, è Gianni Forte, segretario generale della Cgil Puglia, già responsabile della Cgil di Taranto.

L’aveva proprio fatto alterare De Biasi, come mai?

«Per un’intervista in cui sostenevo che piuttosto che spendere soldi in pubblicità l’Ilva avrebbe dovuto aderire all’ipotesi di copertura dei parchi minerali».

Perché qualcuno aveva posto il problema prima dell’inchiesta della magistratura?

«Certo,la Cgill’ha fatto quando con Fitto fu individuata la velleitaria soluzione delle vele. Purtroppo non l’abbiamo spuntata, eppure siamo stati ad un passo dal far cadere le resistenze aziendali. Tutto si risolse con il ricorso ad uno studio del Cnr che non diede i risultati sperati. Però la polemica con Riva è continuata, come testimonia la lettera di De Biasi».

All’epoca la sensazione era che negli incontri per gli atti d’intesa fosse tutto già deciso.

«Quelle riunioni non si svolgevano affatto in un clima di pace sociale. La notizia del licenziamento di tre delegati della Fiom, a seguito di uno sciopero proclamato in azienda, ci giunse proprio mentre eravamo al tavolo della Regione Puglia. Se poi gli accordi venivano disattesi non è mica colpa del sindacato che non aveva né i mezzi, né gli strumenti per controllare. Anzi io da firmatario di quegli accordi mi sento leso dal fatto che l’azienda li ha disattesi».

Le misure contenute negli atti d’intesa sembravano dettate da Riva.

«Vorrei si riconoscesse che l’avvio di quella fase servì a mettere per la prima volta in risalto il problema dell’inquinamento e dell’ambientalizzazione. Prima non c’era nessuno strumento in grado di certificare il dato dell’inquinamento. Una delle prime iniziative che organizzai da segretario generale fu per l’istituzione dell’Arpa. Eravamo nel 2001. C’erano solo alcune centraline per la misurazione del Pm10 che non erano neanche in rete. Nel 2004 con la nostra proposta “Taranto città da innovare” ponemmo l’esigenza che si posizionassero in alcune piazze della città i display con i dati aggiornati dell’inquinamento. E dove fu posto per la prima volta il problema della diossina? Proprio ad un tavolo all’indomani dell’insediamento della Giunta Vendola. Ma non c’erano mezzi per rilevarla. Ricordo che in presenza di Riva il professor Assennato ammise senza mezzi termini che era come combattere la mafia con i vigili urbani».

Però il sindacato era in fabbrica, che faceva?

«Intanto, va ricordato che nel rapporto tra Ilva e sindacati, ci sono stati momenti di grande scontro e contrapposizione. Sin dall’inizio Riva lanciò una pesante offensiva contro il sindacato. Con una spietata campagna per costringere i lavoratori a disdettare la delega, con i ricatti messi in atto nei confronti di coloro che aspettavano i benefici per l’amianto o l’assunzione di un figlio. I lavoratori che resistevano venivano emarginati. E poi quel lungo periodo in cui le libertà sindacali furono annullate, per i giovani che nei 2 o 4 anni di formazione lavoro non solo non potevano iscriversi al sindacato, ma neanche concedersi un giorno di malattia, pena la mancata trasformazione del rapporto. Così come non si può fare a meno di riconoscere che a completamento della stabilizzazione,la Fiomassunse un profilo segnatamente conflittuale. Ad ogni elezione per le Rsu faceva la differenza il risultato del seggio in cui votavano i capi e gli impiegati, che non a caso non sceglievano di certola Fiom».

Anche la Fiom, però, gestiva il circolo Ilva e la masseria Vaccarella con i soldi di Riva.

«All’epoca dell’operazione mi occupavo d’altro. Posso però considerarla coerente con l’intento di costruire una sorta di dopolavoro, come lo stesso Statuto dei lavoratori all’art.11 prevede. D’altronde a Taranto esistono altre esperienze similari. È il caso del circolo dei lavoratori della difesa, che fra tante altre attività gestisce un lido. Inoltre, che il Vaccarella fosse finanziato dall’Ilva non è mai stato un mistero. È stato sempre un luogo aperto alla città».

Recentemente la gestione della fondazione Vivere solidale è sotto i riflettori, è sempre stato tutto trasparente?

«La Fiomha denunciato alcune opacità. Trattandosi di una struttura che fa capo a tutte e tre le federazioni metalmeccaniche, ne abbiamo avuto sentore solo in occasione di una ispezione di routine sulla gestione complessiva della Fiom effettuata dai collegi di Cgil Puglia e Fiom nazionale. L’esito di quell’ispezione, che ripeto riguardava l’intera gestione Fiom, è stato trasmesso alla Commissione nazionale di garanzia della Cgil, con nota sottoscritta da me e da Landini. Il risultato fu l’espulsione di sette dirigenti della Fiom di Taranto. Non so quante altre organizzazioni attivano procedimenti così severi pur andando incontro a problemi politici e organizzativi».

Quale futuro vede per l’Ilva?

«È un’azienda che senza bonifiche e interventi di ambientalizzazione non può continuare a produrre. Ma è ormai scontato che non possono essere i Riva a farlo. Devono metterci i soldi, anche impegnando il patrimonio sequestrato ma la guida deve essere affidata ad un soggetto terzo. In questo modo la città si sentirebbe più rassicurata. Perché se la siderurgia è strategica e importante per il Paese, non si puo decidere del futuro della fabbrica a prescindere dal futuro della città. Ma deve essere chiaro che Taranto per progettare e rivendicare un futuro non può fare a meno delle sue rappresentanze istituzionali, politiche, sociali, che oggi vengono messe alla gogna, in un clima di aggressione che non aiuta a recuperare un clima di fiducia e di collaborazione.La Cgilè pronta a fare la sua parte come sempre. Rispetta le posizioni di tutti, ma pretende anche rispetto. Perchè in tutta questa vicenda potremo pure aver commesso degli errori, come accade a chiunque si misura con problematiche cosi complesse, ma l’accusa di subalternità e compromissione mi sembra inaccettabile».

Ma il ricorso contro il referendum insieme a Confindustria era necessario?

«Forse si poteva evitare, ma il risultato stesso del referendum, che poi si è tenuto, sta a dimostrare che non fosse lo strumento più adeguato per decidere il futuro dell’Ilva. Ma quell’atto non può essere scambiato per subalternità. Fu dettato dalla preoccupazione che in maniera manichea si potesse decidere del futuro occupazionale di migliaia di persone. E poi contrastava con la scelta assunta di puntare sulla compatibilità dello stabilimento. C’è qualcuno pronto a pensare che un sindacato che si schieri per la chiusura di uno stabilimento di quelle dimensioni possa riscuotere credito fra i lavoratori? Diventa invece la loro controparte, lasciando migliaia di persone in balia del loro destino. Ecco perché delegittimare il sindacato non è utile. Perché indebolisce la capacità di rappresentanza dei lavoratori».

 

fonte: http://www.corrieredelgiorno.com/2013/06/02/per-lilva-un-futuro-senza-riva-74492/


Condividi sul tuo social preferito