Senza stipendio e senza pensione: in migliaia a reddito zero

14 -02-2012

Prima di tutto il limbo di oltre 60 mila lavoratori (ma la cifra potrebbe essere molto più alta) che non hanno più un salario o uno stipendio, ma non hanno ancora maturato i requisiti per andare in pensione. Oltre 60 mila persone praticamente senza reddito. Per loro CGIL, CISL e UIL hanno promosso il 9 febbraio il presidio unitario in Piazza del Pantheon a Roma in concomitanza con l'avvio dei lavori del Senato sulle norme del Governo. Per il Segretario Generale della CGIL, Susanna Camusso, ma anche per Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, la partita pensioni non è chiusa: il decreto Milleproroghe deve essere cambiato.

Ma questo capitolo di tutti quei lavoratori che non rientrano nelle norme del ministro Fornero e nei tempi segnati dal decreto (31 dicembre 2011), è solo la punta di un iceberg. L'ultima riforma delle pensioni (l'ennesima della lunga serie che era partita negli anni Novanta) ha infatti costi sociali molto pesanti. Ma chi la paga? E chi la pagherà nei prossimi anni?

Proviamo a stilare un primo elenco (anche se parziale e in progress).

I numeri parlano chiaro. In Italia circa tre milioni di persone percepiscono una pensione mediamente inferiore ai 400 euro. Sono circa otto milioni, invece, quelli che non arrivano a 1.000 euro. Su questo fronte la manovra del governo Monti non ha fatto altro che peggiorare le cose bloccando l'indicizzazione di quelle d'importo superiore ai 1.400 euro lordi. Una misura giudicata ingiusta e iniqua che ha privato milioni di pensionati della già misera rivalutazione e che si scontra con il costante aumento del costo della vita, della sanità e dei servizi. Esodati. Sono appunto oltre 60 mila i lavoratori che sono rimasti o rischiano di rimanere senza stipendio e senza pensione in un limbo che rischia di durare anni se non verranno modificate le norme in discussione in Parlamento Il problema degli “esodati” potrebbe diventare ancora più grave perché visto che le risorse stanziate sono troppo poche, la platea di quelli che “stanno fuori” potrebbe allargarsi Pagano tutti i lavoratori che hanno 41 anni di contributi, visto che ora la soglia è stata spostata a 41 e un mese, ma siccome gli anni di contributi ora si legano anche all'aspettativa di vita, l'applicazione del legame automatico farà crescere anno per anno la soglia. Così nel 2012 per gli uomini la soglia sarà 42 e un mese, 41 e un mese per le donne; nel 2013 saranno 42, più due mesi, più altri tre mesi per l'aspettativa di vita degli uomini e 41 anni, due più tre mesi per le donne; nel 2014 per gli uomini 42 anni più sei e 41 e sei mesi per le donne; nel 2016 la soglia per gli uomini sarà 42 anni di contributi più 10 mesi e 41 anni più 10 mesi per le donne. Pagano in termini di penalizzazione sull'entità della pensione tutti coloro che vorranno andare in pensione prima del tetto fissato. Facendo un calcolo rispetto alle percentuali che si perderebbero andando in pensione a 60 anni, a 59, 58, 57, si ottiene la percentuale dell'8%. Detto in altri termini: se invece di andare in pensione a 62 si sceglie di andare in pensione a 57, la pensione verrà tagliata dell'8%. Rischiano di pagare un prezzo molto alto tutti quei lavoratori che vengono cacciati dalle aziende a 58 o 59 anni. Visto infatti che il tetto per la pensione è stato spostato molto in alto, ci sono migliaia di persone che, dopo aver vissuto una cassa integrazione di un anno o due, rischiano di stare fuori in attesa di raggiungere gli anni del pensionamento. Siccome questo tetto viene ormai spostato verso i 66-67 anni, se si esce dal mercato del lavoro a 58 anni, e non si ritrova lavoro, si rischia di rimanere senza reddito per sette, otto, nove anni. Una situazione drammatica e un vero e proprio allarme sociale che si lega alla questione della riforma degli ammortizzatori sociali. Tra quelli che pagano il prezzo più salato ci sono sicuramente le donne. Le lavoratrici subiscono infatti l'aumento dell'età pensionabile che si scarica in forme diverse sulla loro condizione (in proposito vedi il documento che mettiamo in rete qui di seguito) Pagano tutti i lavoratori dipendenti in termini di aumento generalizzato dell'età pensionabile. Questa continua rincorsa della nuova frontiera dell'uscita dal mondo del lavoro che ormai viaggia verso i 70 anni sarà pagata indirettamente e direttamente dai più giovani che prima dovranno aspettare l'uscita dei più anziani di oggi e poi vedranno spostare il loro tetto. Pagano ancora tutti i lavoratori dipendenti in termini di modifica dei coefficienti di trasformazione (che sono formule per calcolare e aggiornare l'entità della rendita previdenziale). Prima della riforma i coefficienti si aggiornavano ogni 3 anni. Ora si aggiorneranno (e quindi si abbasseranno) ogni 2 anni. In altre parole le pensioni pubbliche verranno svalorizzate ogni due anni. Questo sistema rende tutto più incerto il sistema e gli stessi lavoratori che non avranno sempre meno informazioni e meno certezze sulla loro uscita dal mondo del lavoro. Il sistema italiano dell'aggiornamento dei coefficienti è molto più confuso e incerto di quello che si applica da anni in altri paesi. In Svezia, per esempio, le istituzioni danno informazioni precise ai lavoratori sui loro coefficienti e le regole non vengono mai cambiate in corso d'opera come succede da noi.

Le proposte del Sindacato dei Pensionati della CGILNota CGIL su decreto pensioni


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